giovedì 19 dicembre 2019

Starbucks e i valori di oggi


Dagli anni ’70 ad oggi: è cambiato il mondo o sono cambiati i valori?

Starbucks a Milano

Finalmente dopo un anno dalla sua apertura sono riuscita ad andare a prendermi un caffè da Starbucks a Milano. Sono particolarmente affezionata a questa catena di caffetterie americana: in primo luogo perché il nome mi ricorda un personaggio di un classico della letteratura americana che amo, Starbuck è il primo ufficiale del Pequod, la baleniera guidata dal capitano Achab in Moby Dick di Herman Melville; in secondo luogo perché coloro che hanno progettato, creato e immaginato queste caffetterie, che ora è una grande catena sparsa un po’ ovunque nel mondo, sono due professori e uno scrittore insieme ad un imprenditore americani agli inizi degli anni ’70, che all’epoca avevano più o meno la mia età. I tre giovani letterati che frequentano l’Università di San Francisco, durante il loro soggiorno nella città lombarda rimangono attratti dai caffè che sono soliti bazzicare e, prendendo spunto da questi, aiutati dal giovane imprenditore Howard Schultz noto per essere l’amministratore delegato di Starbucks, decidono di ricreare anche nel loro Paese d’origine un ambiente culturalmente stimolante e dove prendere un buon caffé.
Quando mi trovo in una capitale estera o comunque in una grande città se c’è un caffé Starbucks mi piace andare a bere qualcosa o anche solo a curiosare. Anche se ora Starbucks è  una grande multinazionale e anche qui ormai l’odore del consumismo arriva, capita spesso di trovare turisti di diverse nazionalità che avendo riconosciuto il marchio come qualcosa di famigliare, entrano sentendosi un po’ a casa e interagiscono fra loro. È un po’ come se diversi continenti o diverse nazioni fossero chiuse in una stessa stanza, credo sia la parte bella della globalizzazione.

Oggi chi sognerebbe ancora Starbucks?

La storia di come è nata questa catena mi è sempre piaciuta e mi sento un pochino affine a questi ragazzi. Spesso mi chiedo: ma oggi tutto questo sarebbe possibile? Ci sarebbe qualcuno capace di immaginare un posto così?
La risposta è quasi sempre no. Questo perché, a mio avviso, viviamo in una società che si prende più cura dell’immagine che del contenuto; siamo schiavi del consumismo: più attenti al denaro che viene visto come un fine e non come un mezzo, più preoccupati a possedere ciò che ci fanno credere sia necessario, che a capire di cosa realmente ci sia bisogno per imparare e migliorare. Non siamo più educati a riconoscere la bellezza e secondo me più passano le generazioni più questo disagio si aggrava.

Cosa fare adesso?

Le domande successive che mi pongo sono: si può porre rimedio?
Siamo consapevoli di quello che sta succedendo? Esiste la volontà di cambiare rotta?
La risposta alla prima domanda è: si! E’ possibile rieducare alla bellezza, alla cultura facendo bellezza, imparando e conoscendo la cultura, sperimentandola tutti i giorni: incentivando la lettura, la musica, il cinema, il teatro…incentivando la conoscenza delle arti.
Ma, la risposta alle altre domande, non so se riesco a darmela. Effettivamente non so se ci sia una volontà comune che abbia veramente voglia di riempire queste lacune o che abbia anche solo la consapevolezza dell’esistenza di queste lacune.

E ancora…

Come per i ghiacciai che si sciolgono per cui non è possibile arrestare il fenomeno e tornare indietro,  si può rallentare il processo? E attraverso una nuova educazione è possibile modificare il modo di agire delle persone?

Io non so darmi una risposta a tutte queste domande, ma so che più me le pongo più mi viene voglia di cambiare.


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