sabato 25 aprile 2020

La biodiversità di Cuba e il mio mondo perduto



Alcuni scatti della barriera Corallina di Guardalavaca
scattate con macchina fotografica subacquea,
 purtroppo non da noi!
Giorno 14: la Barriera Corallina


Cuba possiede circa 6000 chilometri di costa e i suoi fondali marini sono tra i più ambiti dagli appassionati d’immersione e dagli studiosi per la ricca biodiversità.
Poco distante dal nostro albergo si può ammirare una Barriera Corallina lunga quasi cinque chilometri, così per il mercoledì mattina abbiamo prenotato una breve crociera che ci porterà a vedere questo mondo sommerso.
Per me è la prima volta in cui mi capita di vedere dal vivo una Barriera Corallina così grande e, oltre ad essere un’esperienza indimenticabile, è anche una considerevole prova di coraggio per la mamma che è terrorizzata dall’acqua.
Piccole insenature e cayos tranquilli accolgono tantissime specie di flora e fauna marina e terrestre tra cui coralli, tartarughe e pesci variopinti.
Navigare in queste acque turchesi è come immergersi in un mondo parallelo fuori dal tempo.
Tornate dalla nostra gita in barca ci fermiamo a pranzo in un ristorante tipico dove mangiamo maiale arrosto e beviamo un ottimo Mojito.
Dopo esserci riprese dall’intensa mattinata andiamo direttamente in spiaggia e il resto della giornata lo trascorriamo in totale relax.











Il mio Realismo Magico

Per l’intero pomeriggio penso a quanto doveva essere bello starsene sdraiati su queste spiagge prima dell’avvento dei turisti, e addirittura mi chiedo affascinata quale spettacolo appariva davanti agli occhi degli Indios prima che arrivasse l’uomo bianco a sconvolgere questo Nuovo Mondo.
Le spiagge della costa sud orientale di Cuba sono ricche di vegetazione e tra quelle ancora più incontaminate dell’Isola caraibica.
Così chiudo gli occhi e in un attimo non sono più a Cuba, ma in Colombia.
Gabo
Più di una volta, durante questo viaggio, il mio pensiero è stato per un secondo scrittore che amo tantissimo, legato a Cuba e amico di Fidel Castro: Gabo (Gabriel García Márquez).
Gabo Márquez lavorò per l’agenzia di stampa cubana Prensa Latina, fondata da Che Guevara e dall’italo-argentino Jorge Ricardo Masetti dopo la Rivoluzione cubana.
Nella mia immaginazione, spesso fingo che lui sia il nonno e io sia la nipote seduta su uno di quei sassi bianchi e levigati che sembrano uova preistoriche bagnati dalle acque diafane del fiume lungo le cui rive si trova il villaggio fantastico di Macondo (i quali sono descritti nell’incipit, a mio parere bellissimo, di Cent’anni di solitudine) incantata ad ascoltare storie in bilico tra tradizioni ancestrali e magia.
Fu Gabo in persona a dichiarare che sono stati i racconti della nonna ad influenzare maggiormente la sua scrittura e il suo realismo magico.
Così, pur stando comodamente appollaiata sul lettino all’ombra delle palme, continuo a viaggiare con la fantasia.


Giorno 15: Guardalavaca, la spiaggia dove sbarcò Colombo
Riproduzione di come doveva essere
una mappa di Cuba all'epoca di Cristoforo Colombo.





Il giorno seguente lo trascorriamo interamente a playa Guardalavaca.
Questa spiaggia, nei secoli passati, fu il nascondiglio ideale per corsari, pirati e le loro attività di contrabbando, infatti il suo nome deriverebbe da “Guarda la vaca!” cioè proteggi il bottino, che era ciò che i nativi gridavano quando vedevano sopraggiungere dal mare i saccheggiatori.  
Si narra che Cristoforo Colombo sia sbarcato nei pressi di Guardalavaca nel 1492 e che rimase stregato dalla bellezza di questa spiaggia con la sua forma simile a quella della valva di una conchiglia.
Questa spiaggia, dalla sabbia bianca e finissima, è bella e in parte ancora incontaminata mentre il mare, dalle intense sfumature di blu e verde, sembra dipinto.
Verso le 17 rientriamo al nostro albergo, anche se il sole è ancora alto nel cielo, perché siamo stanche e la mamma scopre poi di avere la febbre.

La parte più vecchia del villaggio di Guardalavaca.


Più tardi, dopo esserci rinfrescate e riposate, decidiamo di non uscire per cena e di farci portare dal ristorante dell’albergo qualcosa da mangiare.
Chiediamo a Maria Ines, una cameriera con cui siamo entrate in confidenza al ristorante, di prepararci un piatto abbondante di frutta, uno a base di carne di manzo e riso e uno yogurt fresco.
Quando siamo arrivate all’albergo, per la prima volta, era tardi e Maria Ines, che conosce qualche parola d’italiano, ci ha messo subito a nostro agio.
Ines, Agnese in italiano, che è come vuole essere chiamata lei stessa, è una bella ragazza non troppo alta, con gli occhi scuri definiti da una sottile linea di eyeliner, i capelli corvini e diversamente dagli altri camerieri non è abbronzata.
E’ proprio lei, che afferma ridendo, di essere probabilmente l’unica cubana che si scotta dopo pochi minuti sotto al sole.
Così, dopo aver preso la mia ordinazione, mi dice:“Buonasera cara e riposate!”.
Dopo cena usciamo nel piccolo patio del bungalow per goderci ancora una volta l’aria tiepida della sera prima di coricarci.

Circa mezz’ora dopo rientriamo e a quel punto non passa molto tempo che ci infiliamo a letto e ci addormentiamo.



venerdì 3 aprile 2020

Giorno 13: martedì 17 febbraio

Emily e un coniglietto ai lamponi

Il martedì lo dedichiamo a un’escursione in un piccolo comune pochi chilometri a nord di Guardalavaca: Gibara, antico villaggio di pescatori.
Appena arrivate, notiamo subito la differenza con i villaggi di pescatori visti a L’Avana e a Santiago. I palazzi di Gibara, come a Holguín, sono elegantemente rifiniti e ricordano quelli spagnoli.

Verso le 11 del mattino sentiamo la necessità fisiologica di un buon caffè così ci fermiamo in un bar che si affaccia sulla piazza principale e si trova al piano terra di un bel palazzo coloniale color amaranto.
Mentre siamo sedute al nostro tavolino a sorseggiare il caffè, nero e questa volta zuccherato, vediamo una bimbetta spiarci da dietro il bancone.
Capiamo immediatamente che è la figlia della cameriera perché uscita dalla sua tana corre a nascondersi dietro le gambe della madre.
Assistendo alla scenetta quasi a tutti scappa una piccola risata, barista compreso, ma io mi sento subito in dovere di tranquillizzare la piccola e per rassicurarla le rivolgo un sorriso.
Inizialmente lei resta dietro la madre, cercando di mimetizzarsi il più possibile e nascondendo il faccino vergognoso, ma intuendo presto che oramai era stata vista, allenta la presa ed esce allo scoperto.
Sembra proprio una bambola di porcellana e velluto: in testa porta un fazzolettino di cotone per ripararsi dal sole, ma probabilmente anche per contenere i ricci ribelli, gli occhi sono neri e grandi, come quelli di tanti bambini a Cuba, e provocano in chi li guarda un senso di vertigini come se si stesse guardando all’interno di un pozzo dove non si riesce a vederne la fine.
Mi viene in mente che in borsa dovrei avere ancora qualche caramella alla frutta che prima di partire dall’Italia avevo rubato ai miei nipoti: allora mi metto a cercare e trovo un paio di lecca lecca rosso rubino a forma di coniglio.
Mi avvicino e mi chino verso di lei porgendole i dolcetti; la piccola, solo dopo aver controllato che nessuno, a parte noi, la sta guardando li afferra.
Sempre sorridendo le chiedo quale sia il suo nome e lei, già rassicurata dal fatto che il locale in quel momento non sia affollato, mi risponde con un filo di voce: ”Emily!”.
La mamma gliene scarta uno e glielo restituisce, lei lo prende velocemente e subito si mette a leccarlo felice mostrandolo di tanto in tanto al barista divertito.
Mentre Emily assapora con gusto il suo trofeo: Mideline, la mamma, ci dice che la bimba ha tre anni e oltre a lei ha un’altra figlia di otto che ora è a scuola: così io le dico di tenere l’altro lecca lecca per la sorellina di Emily perché sappiamo quanto sia difficile trovare delle caramelle a Cuba.
Ormai si è fatto tardi e dobbiamo andare così, dopo aver pagato i caffè, mando un bacio con un gesto della mano ad Emily, che sembra ancora titubante e non sa se può fidarsi o meno.
Siamo già fuori, quando Emily e Mideline ci raggiungono e da un cestino di vimini la bimba ci porge tre braccialetti: lei e la madre ce li vogliono regalare per i nostri tre nipotini.
I braccialetti, come Mideline ci spiega, sono fatti con semi Huayruro e sono fatti a mano da lei. Ci dice che la pianta Huayruro è originaria del Perù e i suoi semi si dice portino fortuna, abbondanza e allontanino l’energia negativa proteggendo chi li indossa.
I semi sono rossi e la parte finale è nera, questa miscela di colori si dice sia sinonimo di equilibrio e vengono spesso usati come ornamento nei vasi e nei gioielli.
Essendo semi tossici se ingeriti vengono raccolti, essiccati e lavorati a mano.
Io accetto volentieri il regalo, anche se dopo aver saputo la storia li vorrei pagare, ma Mideline  non vuole denaro; dopo aver ricevuto un bacio da Emily salutiamo mamma e figlia e proseguiamo per le strade di Gibara.

Iglesia de San Fulgencio

Nel tardo pomeriggio torniamo in albergo e, dopo una doccia rigenerante, scendiamo in spiaggia per vedere il tramonto e poi andiamo a cena.

Dopo cena ci godiamo un po’ di musica dal vivo sul lungomare, dove tutte le sere c’è un gruppo che suona, poi rientriamo in albergo e ancora emozionata dagli occhi di Emily vado a dormire.