domenica 10 maggio 2020

Eccoci arrivati alla fine



Giorno 16: quando dicono che nulla è indispensabile, ma tutto è necessario

Venerdì mattina la mamma sta meglio quindi decidiamo di uscire e andare a fare colazione al ristorante dell’albergo, ma dopo aver preso un caffè e qualche biscotto rientriamo in camera perché oggi sono io che non mi sento in forma.
Rebeca, la donna delle pulizie sta già rifacendo la nostra camera e così decidiamo di lasciarla finire prima di rientrare per distenderci ancora un po’.
E’ ormai chiaro che ho la febbre, la mamma si preoccupa subito per il volo di rientro del giorno seguente e, dopo aver insistito diverse volte, riesce a convincermi a farmi visitare dal medico che è di turno all’ambulatorio del centro sportivo.
Arrivate all’ambulatorio, ci apre la porta un uomo mulatto sulla cinquantina, alto e robusto con un paio di baffi neri e folti.
Il dottore ci fa accomodare, mi prova la febbre e la pressione e, dopo aver sentenziato che si tratta di febbre da insolazione, dà indicazioni all’infermiera di preparare una flebo con sali minerali.
La donna, una simpatica signora piccoletta e paffutella mi sorride e mi dice: “Vamos querida.”.
La flebo non è una passeggiata, ma il dottore, che all’inizio mi è parso un po’ burbero, mi strizza l’occhio, mi dice di portare pazienza e che in poche ore mi sentirò meglio. Dopo avermi dato altri integratori da prendere per qualche giorno il medico ci saluta e mi raccomanda di non andare in spiaggia oggi e di bere tanta acqua.




Verso le 10.30 siamo di ritorno al nostro bungalow e Rebeca ha finito ed è già passata alle casette successive.
Appena entriamo notiamo che la ragazza ci ha lasciato sui letti gli asciugamani puliti adagiandoli sui materassi a formare due cigni e sopra ha lasciato un biglietto con scritto: ”Espero que estés bien pronto!”
Mi scappa un sorriso pensando a tutte queste gentilezze, tipiche del popolo cubano.
Durante questi giorni mi è capitato di essere fermata per strada da persone che, pur non capendo la mia lingua, volevano consigliarmi, aiutarmi o solamente farmi un saluto, offrirmi qualcosa e regalarmi un sorriso.
La scena più comica di questi giorni mi è capitata a L’Avana: la mamma si è allontanata da me per recuperare il cellulare che aveva lasciato in un bar in cui eravamo state un’oretta prima. Non vedendola tornare un taxista mi ha aiutata a rintracciarla dato che si era persa, a causa del suo senso dell’orientamento quasi azzerato, anche se questo lei non lo ammetterà mai.







Verso sera, dopo aver preso una tachipirina, come mi aveva prescritto il dottore ed essermi riposata, decido di approfittare del fatto che sto meglio per preparare i bagagli.
Prima di partire ero indecisa su quale valigia utilizzare: se quella più grande dove avrei potuto riporre più cose oppure quella, che poi ho scelto, più piccola ma più pratica nei continui spostamenti.
Durante questi giorni sono stata meticolosa nel comprare
souvenir per evitare che quando fosse stato il momento di rifare la valigia non riuscissi a chiuderla, invece mi accorgo che non ho alcun problema di spazio.
Infatti per lasciare un ricordo di me a Maria Jiménez, ad Ariel, a Carlos, a Inés ed altre persone incontrate durante questi quindici giorni ho deciso di lasciare ad ognuno qualcosa di mio: un braccialetto, delle magliette, un portachiavi di pezza che tengo sempre con me come porta fortuna e altri oggetti.
Così mi ritrovo con molto più spazio libero in valigia dove poter porre i regali e i ricordi che porterò agli amici.





Giorno 17: la chiave della felicità

La mattina seguente decidiamo di passare le ultime ore in spiaggia, all’ombra delle palme.
Non vorrei mai dovermene andare e vorrei restare qui sdraiata, cullata dal rumore del vento e del mare, ma alle 11 torniamo verso la nostra camera per cercare Rebeca perché vogliamo salutarla.
Quando la troviamo lei ci abbraccia e ci saluta affettuosamente e io le lascio un paio di sandali bianchi, che mi ero portata per uscire la sera, che credo starebbero bene su di lei e sono quasi certa che anche come misura le vadano bene.
Rebeca ha la carnagione ambrata e gli occhi verdi e a seconda della luce i contorni dell’iride sono dorati così penso che le avrei voluto regalare una matita per gli occhi turchese comprata durante le vacanze di Natale, che poi ho messo solo un paio di volte perché non dava l’effetto sperato su di me, mentre sul suo bel viso starebbe benissimo e ricorderebbe i colori del suo mare, ma purtroppo non l’ho messa in valigia.


Verso le 18 abbiamo il taxi che ci accompagnerà all’aeroporto di Holguín, e dopo aver lasciato alla reception dell’hotel alcuni medicinali che saranno donati all’ospedale della città siamo pronte per partire.
Durante il volo in aereo io dormo pochissimo e approfitto di queste ore per pensare ancora una volta a tutti i ricordi belli che mi porterò a casa.


Penso che viaggiare ci permetta di lasciare alle spalle i pesi che quotidianamente ci affliggono per partire alla scoperta di nuovi mondi e diversi modi di vivere; questo non significa voler evitare le responsabilità che abbiamo, ma imparare ad affrontarle con occhi nuovi e, secondo me, è proprio questa la chiave della felicità.




Appena atterriamo a Malpensa, il 23 febbraio scorso, veniamo sbalzate in questa realtà surreale e ovattata che ormai sta colpendo il Mondo intero a causa della pandemia da Covid-19.

Così durante i giorni trascorsi chiusa in casa, per la quarantena mi è capitato di ripensare con malinconia ai viaggi passati, ma anche di fantasticare su quelli che farò, perché non vedo l’ora di ripartire.  







4 commenti:

  1. Caterina mi piace molto come racconti e belle anche le foto,ma soprattutto mi piace viaggiare attraverso di te. Certo se tua mamma portasse un braccialetto elettronico... Detto da una che si orienta quanto una zucca

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  2. Io avevo pensato ad un microchip 🤣🤣🤣
    Grazie mille.
    Uno dei miei obiettivi è farvi viaggiare insieme a me😊

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  3. Complimenti Caterina per le belle narrazioni.... nelle descrizioni mi pareva di essere là con te . Brava ��������

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