sabato 29 febbraio 2020

Giorno 3: 10 febbraio, il giorno dedicato ad Ernest Hemingway


Per chi andresti in capo al Mondo tu?



Di fronte alla gelateria Coppelia si trova l’hotel Habana libre bellissimo hotel dove ha sede la Cuba Tour: un servizio statale di guide (molti servizi sono statali a Cuba e la gente ci tiene particolarmente a sottolinearlo), che secondo i desideri e le aspettative del turista lo accompagna in un tour personalizzato alla scoperta della storia e della cultura di Cuba.
Così domenica sera abbiamo prenotato per il lunedì un tour guidato dedicato interamente ad Ernest Hemingway grande amante dell’isola tropicale tanto da comprarci una casa e farla diventare la sua dimora semistabile per quasi vent’anni.

Il “Belvedere” di Ernest

Il lunedì mattina con Maria Adele, la nostra guida, partiamo alla scoperta del lato caraibico di Ernest Hemingway con la prima tappa: la Finca Vigia.



La Finca Vigia è la villa, pagata circa diciassette mila dollari nel 1940, dello scrittore statunitense ed è il luogo dove l’autore diede alla luce il suo romanzo premio Nobel: Il vecchio e il mare. Immersa in un parco immenso, la villa sorge sulle colline di San Francisco de Paula, piccola cittadina a pochi chilometri sud della capitale. Letteralmente Finca Vigia significa bella vista: effettivamente la veduta sulla città de L’Avana è strepitosa e mi è subito chiaro per quale motivo Papa l’abbia tanto amata. Qui il tempo sembra essersi fermato: tra libri, fotografie e oggetti personali lasciati come erano quando Hem viveva tra queste mura con sua moglie, i suoi gatti e i suoi cani.
Come mi è capitato spesso in altri musei, a causa della tanta gente presente non riesco a realizzare subito dove sono. Voglio dire questo per me è come un santuario; però lì ho vissuto un momento indimenticabile: seduta su una poltrona in ferro battuto a bordo piscina (dove quasi certamente è stato seduto Hem con i suoi ospiti, quella piscina dove si narra che Ava Gardner abbia fatto il bagno nuda) ho avuto come la sensazione che lui fosse lì con me. Seduto sulla poltrona al mio fianco, era come se Papa mi offrisse un drink col suo sorriso affascinante, buono e intelligente.
Un particolare che mi è rimasto impresso e che non sapevo riguarda la sala da pranzo: il tavolo è preparato per tre commensali e questa era un abitudine per Hemingway in modo che chiunque arrivasse si sentisse già un ospite gradito alla villa: questo dettaglio mi ha colpito, a simboleggiare l’ospitalità di questo popolo e il cuore generoso di Ernest Hemingway che viene spesso oscurato per mettere in risalto altri dettagli negativi del suo carattere; un senso dell’ospitalità che mi ha colpita e per questo sto cercando di adottarlo anche in casa mia.


Cojimar: la casa del Pilar

Lasciata la Finca facciamo tappa a Cojimar: paesino di pescatori in periferia de L’Avana da dove Hemingway salpava per le sue giornate di pesca al marlin a bordo della sua imbarcazione, il Pilar, e dove si trova il ristorante La Terraza di cui lo scrittore era un aficionados. Qui è stato eretto un busto in onore del premio Nobel e proprio questo paesino è stato lo spunto per il soggetto del suo celebre romanzo.
Ernest Hemingway oltre a essere uno scrittore unico era un personaggio altrettanto unico: il romanzo Il vecchio e il mare è bellissimo, ma a parer mio non è il suo capolavoro, come spesso anche lui sottolineava dicendo di aver vinto il Nobel con questo romanzo esclusivamente perché non diceva parolacce. Pochi sanno che il premio vero e proprio si trova a Cuba, ma non a L’Avana; si trova infatti nella basilica de La Virgin de la Caridad del Cobre vicino a Santiago de Cuba, e che per questo premio lo scrittore guadagnò un dollaro per ogni parola scritta e tutti i profitti ricavati dall’Opera Papa li donò all’isola di Cuba e al suo popolo.






Medaglia del premio Nobel conservata nella basilica de La Virgin de la Caridad del Cobre

A passeggio per L’Habana Veja

Proseguiamo poi per il centro della città dove Papa ha trascorso molto tempo tra i suoi bar e i suoi locali.
Scendiamo in Plaza San Francisco de Assis e ci dirigiamo in via Mercaderes verso l’hotel Ambos Mundos dove Hemingway era solito alloggiare prima di acquistare casa a Cuba. Ci dirigiamo poi verso i bar, che erano tappa fissa per Hem: El Floridida, La Bodeguida de Medio, e il Dos Hermanos dove possiamo gustare le varianti del Daiquiri messe a punto proprio dallo scrittore che era diabetico ma non voleva certo rinunciare a un buon cocktail e assaggiare un buon Mojito un classico di Cuba.























Dopo averci accompagnato negli angoli più caratteristici e meno visitati dell’Habana Veja Maria Adele ci saluta.



Felici noi ci riavviciniamo verso casa con qualche sigaro nello zaino e una boccetta di profumo personalizzato.

















venerdì 28 febbraio 2020

Cuba: Isla Valiente

Desideravo fare un viaggio a Cuba da anni e finalmente per festeggiare il mio trentesimo compleanno (anche se un po’ in anticipo) mia madre ha deciso di assecondare il mio desiderio quindi siamo partite alla volta de la Isla Grande.

Giorno 1: 8 febbraio 2020, giorno di partenza con destinazione L’Avana.

Marlon

Partiamo in direzione L’Avana dall’aeroporto di Milano Malpensa verso le 13.00 e arriviamo a L’Avana alle 18.30 ora locale, che sarebbero le 00.30 in Italia; con il fuso orario siamo tornate indietro nel tempo, noi pensavamo di essere tornate indietro di qualche ora e invece, come scopriremo nei giorni successivi siamo tornate indietro di anni, decenni.
Passiamo la dogana, siamo al controllo dei passaporti e del visto turistico dove ci accoglie un giovane agente aereoportuale (non deve avere più di 30 anni) che sfodera un sorriso grande e gentile; non appena si accorge che siamo italiane ci saluta:” Buonasera signore, potete darmi i vostri passaporti con il visto e gentilmente guardate fisso in camera per il riconoscimento.”
“Ok. Complimenti parli benissimo l’italiano!”
“Mio padre mi faceva spesso guardare film italiani: Mastroianni, De Sica…il vostro paese è bellissimo e mi piacerebbe visitarlo presto.
Prego questo è di Luciana e questo è tuo Caterina” ci dice porgendoci i passaporti.
“E tu sei? Como te llamas?” Gli chiedo col modesto spagnolo insegnatomi da mia cognata e sua madre, che ha vissuto tanti anni in Argentina e lui subito risponde:“Marlon! Come Marlon Brando!”. Il suo bel sorriso torna ad allargarsi, noi contraccambiamo e io sento per la prima volta quel tuffo al cuore come fossi sbarcata su un altro pianeta e in un’altra epoca, tipico di Cuba a cui ero preparata da anni ma che quando sei lì ti sorprende all’improvviso. Prendiamo i nostri documenti e dopo un ulteriore controllo ci dirigiamo verso l’uscita, verso la nostra avventura.

A casa di Carlito

Rafael, un amico cubano mi aveva avvisato:”A qualsiasi ora tu parta arriverai là che è buio!” e infatti è buio pesto nonostante siano solo le 18.30 e nel momento dell’atterraggio, che è avvenuto non più di mezz’ora prima, il sole brillasse ancora.
Un taxi ci aspetta all’uscita dell’aeroporto per portarci alla casa particular che sarà la nostra base per i prossimi giorni. Logicamente qui il navigatore non esiste e neanche Google Maps; se non conosci la strada ti fermi e chiedi indicazioni, è quello che ci spiega allegramente l’autista ed è proprio quello che fa.
Arrivate a destinazione ci accoglie Carlos, cubano, ma amante dell’Europa e ci sentiamo subito a casa. Ci spiega che a settembre ha fatto un viaggio tra Italia, Francia e Spagna e, anche se loda molto Parigi e Firenze, il suo cuore latino non può negarlo: la Spagna ha lasciato un segno inconfondibile nei suoi ricordi. Ci accompagna e ci aiuta con le valigie, ci spiega che il nostro alloggio è distante una cinquantina di metri dal piccolo alberghetto gestito della sua famiglia, il Sueño Havana e che ci ha messo lì per essere totalmente indipendenti perché abbiamo un piccolo angolo cottura. Se preferiamo però non avere pensieri, la mattina possiamo passare da loro in albergo per la colazione; e allora, senza rifletterci più di tanto, decidiamo subito di scegliere questa seconda opzione.
Presto così s’istaura un rapporto di amicizia tra noi e la cuoca, la cameriera e il papà di Carlos: Luis, tanto da scambiarci i contatti personali; l’ospitalità cubana è veramente unica, a parer mio questo popolo non è paragonabile a nessun’altro al mondo: nonostante le difficoltà mantiene la sua dignità e ha saputo sviluppare una sensibilità inconfondibile. Viene naturale sentirsi a proprio agio tra queste persone che si baciano, si sorridono e si abbracciano indipendente dal colore della pelle, dall’accento o dall’orientamento sessuale perché è quello che fanno anche con noi turisti, visti non come stranieri ma come nuovi amici.

Giorno 2: 9 febbraio, la feria internacional del libro e la gelateria Coppelia

Quando la cultura è più importante dei soldi

La domenica mattina dopo un’abbondante e buona colazione a base di frutta tropicale, marmellata di mango, spremuta di ananas e caffè siamo pronte per partire. Ci dirigiamo alla Fortaleza de San Carlos de La Cabaña dove in questi giorni si sta svolgendo la fiera internazionale del libro edizione 2020.
Siamo alle casse per pagare il biglietto d’ingresso e la cassiera ci dice che non ha sufficiente moneta per darci il resto visto che le presentiamo una banconota da 100 CUC: dovremmo trovare qualcuno in grado di cambiarci la banconota con qualcun’altra di taglio inferiore, ma non troviamo nessuno, il che non ci deve stupire, ci spiegano più tardi, perché 50 CUC è più o meno il valore medio di molti stipendi a Cuba quindi 100 CUC sono tanti soldi.
Così una signora che ha assistito alla scena si offre di pagarci l’ingresso: un’opera per il bene della cultura la definisce e in cambio non riusciamo neanche a darle un euro. Entrando dalla porta principale, attraverso le mura dalla fortezza, quello che noto subito è l’immensa quantità di giovani e famiglie; subito dopo mi arrivano le note di una tipica musica caraibica. Passiamo più di mezza giornata tra striscioni colorati, fotografie di personaggi storici, vecchi vinili e bancarelle di libri.
La Fortaleza è un complesso fortificato del 18° secolo suddiviso tra saloni centrali e tante celle laterali dove sono allestite mostre fotografiche e altre esposizioni dedicata soprattutto all’America Latina, ma anche al Vietnam (uno dei paesi ospite di quest’anno) e di altri Paesi da tutto il mondo.
Infine ci siamo godute lo spettacolo de L’Avana vista dall’alto.




















Una pausa da Coppelia

Uscite dalla fiera siamo risalite su un taxi e abbiamo ripercorso uno dei tunnel che attraversa la baia sulla quale si affaccia la città per tornare verso il quartiere Vedado dove si trova la gelateria più famosa de L’Avana e probabilmente di tutta Cuba: Coppelia.
Questa gelateria è stata voluta e inaugurata da Fidel Castro in onore della rivoluzionaria Celia Sanchez, forse la più amata e ammirata dal popolo cubano. Io stessa non conoscevo la figura di questa donna, ma a Cuba ho imparato un po’ a conoscerla: figlia di un medico è stata una figura di grande importanza per la Rivoluzione e per il popolo, fece costruire case popolari, ospedali e scuole. Abbiamo sentito dalla viva voce di persone conosciute in questi giorni che proprio grazie a Celia hanno avuto una casa in cui crescere e vivere tutt’ora, l’emozione che trasmettono questi racconti mi hanno convinta a conoscere meglio questa donna e ad ammirarla: per il popolo cubano è una vera eroina.
Il gelato è molto amato e consumato dai cubani e anche se spesso non viene riportato come uno dei pilastri di Cuba è una delle specialità della cucina locale. Dolce, come qualsiasi altra cosa a Cuba (la terra della canna da zucchero) questa gelateria e il suo gelato sono diventati famosi grazie al film Fragola e cioccolato: film cubano conosciuto in tutto il mondo.
Dopo più di un’ora di coda siamo riuscite a trovare un tavolo e ad ordinare due coppe di gelato veramente enormi che abbiamo divorato in pochi minuti perché non avevamo ancora fatto uno spuntino dall’ora di colazione. Oltre ai gusti classici di fragola e cioccolato, che ho voluto prendere per richiamare il film, ho scelto tre frutti tropicali tipici: mango, papaia e cocco. Devo ammettere che per quanto i primi gusti non mi abbiano entusiasmato il cocco ma soprattutto il gelato al mango mi sono piaciuti veramente tanto.






 
Dopo esserci concesse questa coccola e una rilassante passeggiata lungo il MalecÓn, ampia arteria lunga circa sei chilometri che si affaccia sul mare, siamo rientrate a casa che dista da lì poche centinaia di  metri, per farci una doccia e una lunga dormita perché non ci siamo ancora del tutto abituate al fuso orario.

lunedì 3 febbraio 2020

Avvicinarmi al basket perché voglio sapere cosa ti passa per la testa


Perché il basket?

Io non mi sono avvicinata della pallacanestro da bambina, ho iniziato a seguirla relativamente di recente, ma ora è uno degli gli sport che preferisco.  Il perché è molto semplice e forse anche un po’ banale: seguo il basket perché è lo sport che pratica mio nipote Paolo, così è stato a causa sua se ho cominciato a chiedermi cosa volesse dire quel “passi” che dice l’arbitro, che differenza ci fosse tra un tiro da due punti o da tre e perché…Volevo capire, mi sentivo come fuori luogo a seguire le sue partite e non capirci niente, mi imbarazzava anche un po’ quando Paolo con mia cognata parlavano dell’ultima partita giocata e io non riuscivo a seguire i loro discorsi, così ho deciso di porvi rimedio. Sicuramente ancora devo imparare tante cose, ma di una sono certa: il basket non è solo uno sport e le sue regole; il basket è uno stile di vita.

Quello che non ti sembra possibile

Il 27 gennaio, quando ho appreso la notizia dell’incidente di Kobe Bryant sono rimasta molto colpita perché nel mio immaginario, come in quello di molti altri credo, Kobe era praticamente invincibile: talento e tecnica andavano a braccetto con lui. Questo grande campione NBA era un simbolo di forza e potenza, un uomo brillante e pieno di vita, non mi sembra possibile che uno così possa morire.
Bryant dopo aver concluso la sua carriera da professionista continuava a trasmettere la passione per il gioco e a nutrire il mondo della pallacanestro con la fondazione di una scuola per giovani atleti e atlete.  



La lettera di Kobe di addio al basket

Nel 2015 Kobe, dopo vent’anni di carriera indossando la divisa dei suoi adorati Los Angeles Lakers, ha dato le dimissioni dall’NBA dedicando una lettera al suo grande amore, il basket; lettera che è diventata un cortometraggio animato e che nel 2018 ha vinto un Oscar.
Come il bambino (un giovanissimo Bryant) che vediamo sullo schermo appallottolare un paio di calze e fare canestro nel cestino dei rifiuti, così molti ragazzini, non solo negli Stati Uniti, fingono di stare giocando una partita sul parquet.

Cosa insegna il basket?
La pallacanestro non è solo uno sport, è uno stile di vita.

Giocare, farlo seriamente, richiede tanti sacrifici, dedizione e impegno da parte di tutti; un singolo giocatore può spiccare per particolari abilità e per bravura però se non si affida alla squadra anche le sue capacità non servono a niente; il basket è un gioco di potenza, agilità, gambe, equilibrio, sguardi e complicità.
Quello che ho imparato però è anche la pallacanestro regala tanto divertimento, libertà e amicizia. La cosa che secondo me subito si nota quando si va per la prima volta ad una partita è il pubblico: uomini, donne, di qualsiasi età e questo secondo me è possibile perché il basket, la passione per questo sport e il divertimento che regala sono veramente un linguaggio universale. Assistere ad una partita è come assistere ad un grande spettacolo, ad un film in cui il pubblico soffre e combatte in campo con gli atleti. Un’altra caratteristica molto importante della pallacanestro è il rispetto nei confronti dei compagni di squadra e degli avversari e questo avviene anche per il pubblico.



La pallacanestro come eredità anche delle donne

Sempre più ragazze giocano a pallacanestro, credo che questo debba rendere orgogliose le donne perché è un’altra dimostrazione del fatto che non è vero che esistono ruoli femminili o mestieri che possono svolgere solo gli uomini. Come ho detto prima: la pallacanestro è uno stile di vita, è uno stato mentale; il giocatore conosce quello che vuole raggiungere e come lo vuole raggiungere, vuole esprimersi al meglio delle sue capacità e possibilità ed è per questo che in questo gioco serve passione e dedizione indipendentemente dal genere.



Il basket del domani

Gianna Bryant ( scomparsa anche lei nell’incidente del 26 gennaio scorso) aveva ereditato dal padre la passione e la forza di spirito per fare carriera nel mondo della WNBA, purtroppo non ne avrà la possibilità. Capitava di vedere Kobe e Gianna a bordo campo negli intervalli durante una partita mentre le spiegava i passaggi avvenuti. Kobe ha sempre sostenuto questa sua passione e da quando era in pensione dai Lakers allenava la figlia e la sua squadra.

Come zia sono molto contenta delle scelte fatte da Paolo e orgogliosa dell’impegno che ci mette non solo nel praticare il basket, ma anche nel trasmettere (soprattutto a me) tutto quello che questo sport può insegnare. Mi auguro che questa passione continui ad ispirare ragazzini in tutto il mondo per avvicinarli a questo sport: faticoso ma allo stesso tempo generoso.